16 aprile 2015
Donne al volante
ore 18.30
Irrazionali, emotive, sensibili, gelose. Cortesi, modeste, generose, remissime e arrendevoli. Spesso sull’orlo di una crisi di nervi. Sono le regine del focolare, predisposte ad accudire casa e familiari, ma inadatte a prendere le redini di un Paese o di un’azienda. Possono far quadrare i conti in famiglia, ma per il resto la matematica non è pane per i loro denti. In fondo, sono meno portate per la scienza (nel 2005 l’allora rettore di Harvard, Lawrence Summers, nel corso di una conferenza presso il National Bureau of Economic Research ha affermato che le donne sono geneticamente meno portate per la ricerca scientifica). Per natura e vocazione sono destinate a essere innanzitutto mamme, tanto che in nome della genitorialità sono disposte a rinunciare a tutto.
Ma sono veramente così le donne? Ovviamente no. E il prevalere di modelli che non rispecchiano la pluralità dell’universo femminile (in altre parole, la singolarità di ciascuna) non solo non rende giustizia ai diversi modi in cui si può essere donna oggi, ma rischia anche di inibire ambizioni e mettere un freno alle aspettative femminili. Se fin dall’infanzia, infatti, si impone alle bambine, più o meno consapevolmente, di riconoscersi in ruoli stereotipati (di moglie, mamma, velina…), questi rischiano di trasformarsi in vere e proprie gabbie.
I modelli di femminilità e mascolinità proposti dall’immaginario popolare, alimentati da pubblicità, televisione, letteratura e giochi per l’infanzia, ecc. (e di conseguenza il vedersi rappresentati fin da piccoli per lo più adatti o predisposti per alcuni ruoli e alcune attività), incidono, inevitabilmente, sul modo in cui bambini e bambine immaginano il proprio futuro e contribuiscono di fatto a quella “segregazione” di genere nei percorsi formativi e professionali. E non c’è da stupirsi poi se faccende di casa e cura dei figli continuano a essere considerate, per lo più, “cose da donne” tanto da doverci ritenere “fortunate” se abbiamo accanto un uomo che ci “dà una mano”.
Del resto, come si chiede la filosofa Michela Marzano nel libro Sii bella e stai zitta. Perché l’Italia di oggi offende le donne (Mondadori, 2010), quante donne, pur lavorando come gli uomini (e talvolta più di loro) sono costrette a occuparsi da sole dei figli e della casa? Quante donne cedono alla tentazione dei sensi di colpa e, per paura di essere considerate «madri indegne», abbandonano ogni aspirazione professionale? Quante donne vengono giudicate come «fallite» o «incomplete» perché non hanno figli? E quante adolescenti hanno gli strumenti critici necessari per decostruire i messaggi che arrivano attraverso la televisione e la pubblicità, in cui a farla da padrone sono immagini femminili stereotipate, costituite per lo più da corpi perfetti e seduttivi o mamme sorridenti?
Per riflettere sul ruolo dell’attuale contesto storico, culturale e sociale del nostro Paese nell’aprire o, al contrario, inibire percorsi di affermazione personale e professionale alle donne, abbiamo interpellato scienziate, scrittrici, imprenditrici, giornaliste, mamme, mogli. E attraverso la diretta testimonianza di donne che si sono messe in gioco, al volante della propria vita, e in ambiti diversi esprimono le molteplici sfaccettature del talento femminile, a volte ancora soffocato da stereotipi duri a morire, vogliamo coinvolgere i più giovani in un percorso critico per provare a scalfire quella cecità culturalmente costruita che si nutre proprio di stereotipi e alimenta la disparità di genere.
A loro chiediamo di raccontarsi per provare a istillare, nelle studentesse e negli studenti che incontreranno, il valore della parità di genere, fondamentale per costruire una società in cui l’universo femminile non sia più relegato a occupare solo quella metà del cielo in secondo piano, e le relazioni tra uomini e donne siano basate sul rispetto. Una società in cui la parità sia effettivamente reale, in cui le donne non debbano fronteggiare maggiori difficoltà per affermarsi nel mondo del lavoro, per il semplice fatto di essere donne. Una società che metta definitivamente al bando quella violenza che, spesso tra le mura domestiche, rende le donne vittime sacrificali di una cultura patriarcale.
Affinché l’abitudine non ci faccia più accettare ciò che è inaccettabile.